sabato 21 febbraio 2009

Calle

La Signora delle Calle nacque bellissima: lunghi capelli castani ed occhi di pece. Invece di piangere, si guardò attorno e sorrise. Era modesta di ricchezze ma indossava sempre un abito lungo, intonso, fragrante di sapone. Aveva un chiosco di fiori che non appassivano mai con un arco di calle all’entrata. Col maestrale, il profumo dei fiori invadeva piazza Verde ed i mariti venivano rapiti… e tornavano a casa dalle mogli, con un bocciolo. Con lo scirocco, l’effluvio saliva per il Corso, s’insinuava fra le fessure delle finestre, e le massaie si ricordavano dei loro cari in attesa di una prece e di un fiore. Aveva pretendenti d’ogni parte della città, scatole di cioccolatini che porgeva ai clienti, e diamanti e rubini che offriva alla statua della Vergine. Nessuno sapeva dove abitava: qualcuno dubitò che dimorasse nel chiosco sempre aperto, che la notte mettesse i suoi graziosi piedi in un vaso colmo d’acqua, e da questa traesse esclusivo sostentamento. I clienti cercavano sempre un pretesto per sfiorarle le mani vellutate, ed i passanti s’affacciavano a salutare per rubarle un caldo sorriso. A tutti i bambini regalava un petalo di rosa da conservare fra le pagine del diario, e tanti giovani ho sentito rimpiangere per questo la fanciullezza… Una mattina d’autunno un capannello di viandanti si formò spontaneamente davanti alla porta chiusa, le luci spente, l’arco di calle sfiorito… Con sgomento abbassarono lo sguardo segnandosi la croce e mestamente s’allontanarono. Solo un corteggiatore rimase in quel freddo mattino, ed attese il momento propizio per entrare furtivamente nel chiosco. Non trovò quello che si aspettava, e di questo si rallegrò, ma una timida piantina di calle che sembrava tremare di solitudine. La protesse col pastrano dal freddo ed occhi indiscreti, fino al suo appartamento, dove l’accudisce ancora. Ci sono giorni di maestrale in cui qualcuno tuttora giura di sentire nell’aria un familiare profumo di fiori, mentre sorseggia un thè nel patio del bar di piazza Verde.


Calle - tecnica mista su tele 40x101

venerdì 20 febbraio 2009

Giochi d'infanzia

Passi di danza dall’esito incerto, salti, passi, piroette, giravolte… braccia che s’incrociano, appoggiano, s’aggrovigliano, prendono, fendono, mollano… sguardo vivo, preda delle muse. Tersicore prende vita e forma nel cuore. Una scatola nascosta, un retino acchiappastelle, un adesivo di gomma per collezionare sogni, tenda e torcia per far vivere ombre, una spilla ed una mappa segreta, una palla, perché c’è sempre una palla da inseguire… Ci sarà un momento preciso, non “Quell’anno…”, o “Quell’estate…”, ma un momento preciso, un attimo della durata esatta di un attimo, in cui si accederà CONSAPEVOLMENTE nel mondo reale: l’istante in cui ti dirai “Non è più un gioco”, qualunque cosa tu stia facendo. Un ballo, una corsa, un’interrogazione… In un baleno si chiuderanno le porte dell’infanzia, ed inizierà la competizione.


Giochi d'infanzia - tecnica mista su tele 71x71

martedì 17 febbraio 2009

L'angelo

L‘angelo con l’ala spezzata si presentò al cospetto di Dio. “Signore mi presento a Te con la mia sofferenza… Potrei chiederti di lenire il mio dolore. Dovrei chiederti di sanare la mia condizione. Vorrei chiederti di farmi tornare alla mia integrità angelica… Invece, Signore altra ragione ha la mia sofferenza! L’ala spezzata ha ridotto la mia natura: dalla ferita aperta, polvere e briciole d’umanità hanno intossicato la mia coscienza. Ora Sento dolore e frustrazione, desideri, speranze, aspirazioni, voglia di progetti dall’esito incerto. La mia condizione immutabile si è crinata e per la prima volta ho paura dell’incognito. Signore, tutto questo non ha niente a che fare con l’eternità e la conoscenza, è una malattia che procura brividi lungo la schiena. Se mi ci soffermo a pensare, le mie mani sudano, l’orizzonte pare allontanarsi e l’attimo dura esattamente un attimo e quello successivo non è più svelato. Signore potrei chiederti di lenire il mio dolore. Dovrei chiederti di sanare la mia condizione. Vorrei chiederti di farmi tornare alla mia integrità angelica… Invece, Signore ti prego, lasciami contagiare da questa incognita che chiami Uomo, dammi la possibilità di sporcarmi la veste e le mani, di desiderare riposo e ristoro, di cercare fisicamente un abbraccio e quell’amore piccolo che solo gli individui riescono ad immaginare. Signore fammi conoscere la caducità di un sogno…"


l'angelo - tecnica mista su tela 70x100

mercoledì 4 febbraio 2009

Il cigno – Ballata lenta del ricordo (che verrà domani)

Sebbene lungo il sogno appaia, vive in noi un piccolo momento, ma non per questo, è d’uopo che poi scompaia. Di questo cruccio, oppure luce, rimane un sentimento che prendendoci per mano, come duce per la strada del ricordo , ci conduce con volo immaginario d’ali, dove sembra che la luce al vero si raccordi: passando, della realtà, ai bordi, così che non si vedano solo i mali. Di quale sogno io parlo e intesso lodi? Ma di quello che vivrai domani, perchè oggi non comprendi cos’altro, oltre ai volti sorridenti vogliano dir le mani… Ma torno ora a dir di quel mio sogno per il quale le notti passo desto ed i giorni – ah se potessero sparir – i giorni, dicevo, vivo mesto. “Due gocce solitarie e vuote s’incrociano un dì per caso (Vuolsi così colà dove si puote …) e brillarono con riflessi di puro raso e le loro mani si unirono dolcemente. Come quella stoffa un corpo e le sue forme avvolge così, inconsapevolmente le due gocce si fusero insieme, dimentiche delle bolgie che nella realtà aduggiavano loro la mente. Ed allora, sembrò ad esse, di veder l’infinito mare, o meglio, sembrò di starci a nuotare, o meglio, sembrò a loro, esse stesse divenir mare. Ma la realtà nulla ascolta di quelle che cogitando chiamiamo chimere, e così la notte passerà, ed il sogno pure. Come sono sbarrate quelle porte, e dure, quando un piccolo angolo si agogna, oltre i bastioni dell’apparenza: un posto dove dire il vero non è vergogna e chi vive come il suo istinto dice, non sconta alcuna penitenza. Pazienza! Così và il mondo. Basti a noi sapere che alla bisogna, si possono chiudere gli occhi ed immaginare quelle mani, e sperare, nell’intimo sperare che un domani…
il cigno - tecnica mista su tela 120x60

martedì 3 febbraio 2009

l'icona

Bagliori di coscienza, veloci come luce, si videro rimbalzare, accecanti, su muri, lampioni, vetrine, grate, balze, bitume bollente sul selciato.
Manto di verità sulle spalle larghe dei facchini dell’inchiostro, a mascherare macchie di sugo e lascivia sulla camicia… Fonici a caccia di menzogne e streghe da bruciare…
Apparenze e impressioni, impronte di mani sui vetri e nei vetri riflessioni. D’un tratto niente ebbe più senso se non il disgusto per ogni falso sentimento.
I cromatismi dall’intonaco scivolarono come cera, lasciando macchie di vuoto: il buio si specchiò ed ebbe orrore di se stesso, perché non vide niente: né coscienza, né traccia di sorriso.
Chi ebbe coraggio seguì la luce a ritroso. Chi ebbe coraggio indicò una finestra. Chi ebbe coraggio… entrò. E chi era puro, vide. Forse non capì. All’inizio, certamente non capì. Poi chiese e comprese.
Del resto, i bambini, cosa ne sanno d’un’icona.




acrilico su tela 30x30